Antonino Anastasi

Il Lampionaio di Belpasso

Raccontare la vita di mio nonno mi riporta agli anni della giovinezza. Il lampionaio è morto nel gennaio del 1961, a 93 anni. Si chiamava don Antonino Anastasi (don Antoninu ‘u lampiunariu). Era un uomo giusto, buono e onesto, che aiutava i suoi simili senza chiedere nulla in cambio. Rimase orfano in giovane età con due sorelle da accudire, alle quali dedicò tutto se stesso con l’obiettivo di poterle sistemare nel migliore dei modi.

Collaboravano con lui tre o quattro operai che, con i rispettivi carri trainati da cavalli, commerciavano con i paesi vicini, in special modo con Catania, trasportando tutto ciò che gli era richiesto. Ha abbandonato questo lavoro perché un suo operaio, nel ritornare da un trasporto a Catania, giunto qualche chilometro dopo Piano Tavola, in un posto detto “Montecimino”, fu fermato da banditi. L’operaio incitò il cavallo, il quale con un salto si liberò, mettendosi a correre come un fulmine sino alla propria stalla di Belpasso. Purtroppo, per lo sballottamento sul carro, dopo tre giorni morì e così pure il cavallo.

Il nonno, dopo questo episodio, non volle più saperne di cavalli e trasporti e fu allora che decise di prendere l’appalto dell’illuminazione. Nacque così il Lampionaio. 

Il suo lavoro era pagato dal Comune sotto forma di appalto, che comprendeva sia il lavoro sia il costo del petrolio utilizzato. Ogni giorno con la scaletta in spalla, il fustino con il petrolio e il misurino, si metteva in viaggio. Lui percorreva le strade da casa sua fino a Borrello, mentre un suo operaio si occupava della parte Sud.

Famiglia del Lampionaio

In ogni punto d’incrocio, in uno dei quattro spigoli delle case, si trovava infisso al muro un portante di ferro a forma di braccio orizzontale, alla cui estremità esterna era attaccato un lampione a sei facce, una delle quali era apribile onde consentire la sistemazione di un lume di latta alimentato a petrolio. Nel suo complesso, in tutta la rete stradale vi era un notevole numero di questi lampioni. E, poiché da un incrocio all’altro vi è una distanza di circa cinquanta metri, dato che il raggio di azione della luce era ben modesto, essa bastava appena a fornire l’indicazione della strada. Ogni sera (tranne nelle notti di luna piena), un po’ prima dell’imbrunire, si vedeva arrivare il lampionaio, il quale con una mano reggeva una scala a pioli e con l’altra teneva una latta piena di petrolio. Appoggiata la scala a quel braccio di ferro, saliva fino all’altezza del lampione, lo apriva, ne tirava fuori il lume, vi versava una certa quantità di petrolio, lo accendeva, chiudeva la porticciuola e, quindi, scendeva per passare al successivo quadrivio ove ripeteva la stessa operazione. Quella quota di petrolio avrebbe dovuto durare per tutta la notte, ma, per la verità, quella scorta era stata data con eccessiva parsimonia e si esauriva molto prima del previsto.

Io, all’età di otto anni, prendevo la sua scaletta e accendevo i lampioni, cominciando da quello all’angolo della Chiesa “Madonna del Carmine”, fino a quando non incrociavo il  nonno. Questo fino al 1940, quando, a causa della guerra, fu sospesa l’illuminazione.

Dopo tale data si dedicò alla coltivazione di un terreno alla volta di Borrello, trasformandolo in un giardino meraviglioso con tutti i frutti che vi si potevano coltivare.

(Tratto dalla testimonianza di due parenti)


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